6a domenica di Pasqua /C

Il perdono nel nome di Cristo

Lc 24,46-53

A cura di don Eric Oswald Fanou

In questa domenica, in Italia si celebra l’Ascensione del nostro Signore Gesù. Nel Vangelo, dopo aver ricordato ai discepoli di aver liberamente compiuto le Profezie su di Lui, Gesù afferma il perdono dei peccati nel Suo nome per coloro che si convertono. I discepoli, con la forza del Signore, sono chiamati a essere testimoni di questa novità nell’opera della salvezza. Convinti da ciò che hanno udito, i discepoli vanno al Tempio per glorificare Dio. Cristo porta l’umanità rinnovata nel seno di Dio. In Lui è garantito il sacrificio perfetto per il perdono dei peccati.

Nel Vangelo odierno, Gesù appare di nuovo ai suoi discepoli. Nulla nel racconto ci dice che fossero consapevoli che sarebbe stata l’ultima apparizione. Ancora una volta, ripete un brano della Scrittura che Lo riguarda: “il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel Suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati”. Aveva citato lo stesso brano in un’altra occasione ai discepoli di Emmaus. Questa ripetizione fa intravedere che i discepoli fossero ancora meno convinti della salvezza in Gesù Nazareno. Può darsi che qualcuno abbia pensato che bisognasse aspettare un altro Messia. Per esempio, ancora oggi ci sono Ebrei che continuano ad aspettare il Messia, a differenza degli Ebrei messianici. Quindi, fino all’ultimo momento, Gesù dimostra di essere il Messia annunciato e chiarisce il tipo di salvezza che Gli appartiene: sconfiggere il principe dei peccati e non fare una guerra armata all’imperatore romano, come pensavano in molti.

Il peccato viene definito una ribellione contro il Creatore. Peccare significa non corrispondere all’immagine impressa su di noi. Infine, il peccato è una ribellione contro sé stessi. Gli effetti di questa ribellione si fanno sentire in qualsiasi cuore, anche nel cuore di chi non crede o crede nel nulla. Questi effetti sono, per esempio, il dispiacere di aver offeso l’altro, il senso di colpa di non aver mantenuto le promesse, la tristezza dell’incoerenza e della menzogna e così via.

Prima di Gesù, per ottenere il perdono dei peccati, si sacrificavano animali. Ci ricordiamo del giorno del Grande Perdono (Yom Kippur). I sacrifici degli animali bastavano per avere la coscienza a posto. Questi espiavano i peccati, ridavano la purezza e restauravano l’alleanza. E molti lo facevano senza per forza un coinvolgimento morale. Si capisce perché i Salmi e i Profeti insistevano sul cuore contrito al posto del sacrificio.

Gesù mette decisamente fine al sacrificio degli animali per il perdono dei peccati, non per la mancanza di un luogo (il Tempio) che è stato distrutto, ma perché il tempio del Suo sacrificio è il cuore dell’uomo. E il sacrificio è l’impegno della propria vita ad assomigliare a Gesù nelle scelte quotidiane. Vivere così costa, si sente la fatica. Questa fatica Gesù l’accoglie per renderla un sacrificio perfetto davanti al Padre. Ed è l’unico vero uomo in grado di presentare un sacrificio perfetto. Chi accoglie Cristo nella propria vita viene generato a vita nuova. Non ha più niente da temere. Ed è questa la meraviglia da testimoniare al mondo che non crede. Con Gesù, il perdono esce dai tempi dei sacrifici animali per essere alla portata di tutti. Gesù torna al Padre perché “tutto è compiuto”. Il resto è il tempo della raccolta, che significa consegnare la vita a Gesù con fiducia e godere della gioia della riconciliazione con sé stessi e, dunque, anche con Dio. Possa la grazia di Dio aiutare alla comprensione del grande dono che ci ha fatto. Buona festa dell’Ascensione. Don Eric Oswald FANOU