Author:

mercoledì 23 aprile 2025

Solennità di San Giorgio martire

patrono della nostra comunità

La nostra parrocchia celebra la solennità del suo patrono con al celebrazione della messa alle ore 9.00, seguita dalla benedizione al paese con le reliquie del Santo dal sagrato della Chiesa.

Giorgio nasce nella Cappadocia verso il 280 da una famiglia cristiana. Trasferitosi in Palestina si arruola nell’esercito di Diocleziano. Quando, nel 303, l’imperatore emana l’editto di persecuzione contro i cristiani, Giorgio dona tutti i suoi beni ai poveri e, davanti allo stesso Diocleziano, strappa il documento e professa la sua fede in Cristo. Per questo subisce terribili torture e alla fine viene decapitato. Sul luogo della sepoltura a Lidda, venne eretta poco dopo una basilica i cui resti sono ancora visibili.
San Giorgio ricorda al mondo un’idea fondamentale: il bene a lungo andare vince sempre sul male. La lotta contro il male è una dimensione sempre presente nella storia umana, ma questa battaglia non si vince da soli: san Giorgio uccide il drago perché è Dio che agisce in lui. Con Cristo il male che non avrà mai più l’ultima parola.
(fonte: https://www.vaticannews.va/it/santo-del-giorno/04/23/san-giorgio–martire.html)

Pasqua 2025

La fede oltre il sepolcro

Gv 20,1-9

A cura di don Eric Oswald Fanou
Dalla celebrazione della notte pasquale, abbiamo iniziato a percepire le prime testimonianze che conducono alla conclusione che Gesù è risorto dai morti. Nel brano di Giovanni offerto alla nostra meditazione, la prima testimonianza narra il passaggio dalla disperazione di Maria di Magdala alla fede del discepolo amato. Lei credeva nel trafugamento del corpo di Cristo e Giovanni, nel sepolcro, confessa la fede nella risurrezione. Nell’oscurità più profonda, per il credente, emergono segni che guidano verso la luce.
Alle prime ore dopo il sabato sacro dei Giudei, Maria di Magdala, donna dalla quale Gesù aveva scacciato sette demoni, si recò al sepolcro dove era stato deposto Gesù. L’osservanza del sabato non le aveva permesso di andarci prima. Si può immaginare la sua impazienza di raggiungere il luogo per ungere il corpo di Gesù con gli aromi. Amava profondamente Gesù, lo aveva seguito fino alla crocifissione e continuava ad amarlo anche quando tutto sembrava perduto. L’affetto di Maria di Magdala per Gesù non era motivato dal timore di perdere il paradiso. Non considerava ancora l’eventuale risurrezione di Cristo, tanto che la rimozione della pietra dal sepolcro la portò a pensare al furto della sua salma. Il suo era un amore riconoscente e gratuito.
L’amore riconoscente e gratuito non avanza pretese prima di manifestarsi pienamente. Questo tipo di amore non attende in cambio una soddisfazione personale; al contrario, trova appagamento nel semplice atto di amare. Così, neanche la vista del sepolcro, luogo che ci si aspetterebbe saturo di putrefazione, altera questo amore. Maria di Magdala sarebbe stata riconoscente non solo per la liberazione dai sette demoni che la tormentavano, ma anche per la nuova prospettiva di vita che Gesù le aveva comunicato. Questa nuova visione e l’amore per Cristo le diedero il coraggio di superare la paura del buio e dei nemici di Cristo, per recarsi al sepolcro nella speranza di trovarvi il corpo del Signore. Tuttavia, il ricordo della crudeltà subita dal suo Signore era ancora vivo nella sua memoria. Ogni movimento insolito appariva come un nuovo accanimento. Vedendo la pietra spostata, ella concluse: 《Hanno portato via il Signore!》.
Se davvero avessero portato via il Signore, quest’ulteriore beffa crudele sarebbe stata devastante. La paura, la tristezza, l’angoscia della morte avrebbero finalmente trionfato e tutto sarebbe finito. Cristo e il suo insegnamento sarebbero stati relegati nel sepolcro. Invece, nella morte più drammatica, in una vita che odora di morte e del fetore del sepolcro, in una sofferenza inspiegabile, per il credente sussistono sempre segni di vittoria. Come Giovanni, che l’amore del Signore ci aiuti a discernere questi segni. Nessuno sottrae il Signore dai sepolcri dell’umanità. Non permettiamo alla disperazione di portarci via il Signore. Non lasciamo che i nemici di Cristo, esterni ed interni alle nostre comunità, ci strappino la gioia di credere. Ci assista il Signore affinché la nostra testimonianza non sottragga la gioia della risurrezione a chi non crede o fatica a credere. Buona Pasqua.

Domenica delle Palme/C

L’altra faccia della Passione

Lc 22,14-23,56

A cura di don Eric Oswald Fanou

In questa domenica leggiamo la Passione di Cristo secondo san Luca, cioè gli eventi che segnano la sua vita dall’ingresso a Gerusalemme fino alla crocifissione. La Passione fa pensare subito al dolore patito da Gesù per la nostra salvezza. Mentre il suo dolore ci rattrista, la salvezza da lui compiuta ci riempie di gioiosa speranza. Fermiamoci sulla faccia gioiosa della Passione di Cristo.

Nel racconto del Vangelo, Gesù mostra che nessuno gli toglie la sua vita. I fatti non si svolgono secondo il volere degli scribi, dei farisei e del sommo sacerdote. Loro credevano di arrestare un delinquente, un falso profeta che creava zizzania in mezzo al popolo. Credevano di aver condotto gli eventi sotto il loro controllo. Invece Gesù mostra di aver consegnato liberamente la propria vita alla morte. Lo dimostrano tutte le volte che non sono riusciti a mettergli le mani addosso e il dire del Vangelo che non era ancora la sua ora. Egli stesso lo dice nella Passione: 《Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete mai messo le mani su di me; ma questa è la vostra ora.》 Essendo una scelta libera, continua ad essere buono nei confronti dei suoi detrattori.

In pieno arresto, quando scaturisce l’impeto di uno dei suoi seguaci che colpisce il servo del sommo sacerdote tagliandogli l’orecchio, Gesù lo guarisce. In tutto ciò che ha patito, la sua bontà non è mai venuta meno. Senza nulla togliere al dolore, tutto fu già deciso nella scelta di salvare gli uomini. Né l’avvertimento del tradimento di Giuda e di Pietro, né l’abbandono dei suoi amici più stretti, né le lacrime di sua madre e dei parenti hanno fermato questa scelta. Scelta non facile, come lo esprime nel grido al Padre, ma rimasta immutabile per salvare tutti, compresi sua madre, i suoi fratelli, i suoi amici… Ecco. Siamo di fronte a un Dio che, prima della Passione, è appassionato d’amore per l’uomo. Che ci dia la grazia di considerare seriamente la sua passione per noi. Buona domenica delle Palme (Ulivi).

5ª Domenica di Quaresima/C

Guarire dal tradimento

Gv 8,1-11

A cura di Don Eric Oswald Fanou

Il Vangelo di questa domenica ci conduce dal Monte degli Ulivi al tempio, dove Gesù era solito insegnare al popolo. Lì, nel tempio, gli fu presentato un caso irrefutabile di adulterio, chiedendo il suo giudizio in confronto con la giurisdizione mosaica. La risposta di Gesù introduce elementi correttivi alla legge di Mosè, con conseguenze benefiche per tutti. Per estirpare il male dalla società occorre iniziare dal proprio cuore.

Ricordiamo brevemente il contesto, il clima in cui la donna adultera fu condotta da Gesù. Come accadeva spesso, Gesù insegnava nel tempio. È risaputo che i suoi insegnamenti sovente non erano in linea con quanto insegnavano i Farisei e gli Scribi, che sedevano sulla cattedra di Mosè. Spesso sentiamo Gesù affermare: “Vi è stato detto, ma io vi dico…”. Oppure compiva guarigioni anche di sabato. Il suo era, dunque, un insegnamento molto scomodo per questi dottori della legge, che non riuscivano a coglierlo in fallo. Con la precisa intenzione di metterlo in difficoltà e indebolirne l’autorità, gli presentarono un caso spinoso per tendergli un tranello.

A Gesù viene presentata una donna colta addirittura in flagrante adulterio. Mosè aveva stabilito: 《Se un uomo verrà trovato a giacere con una donna maritata, moriranno tutti e due, l’uomo che ha giaciuto con la donna e la donna. Così toglierai il male da Israele》(Dt 22,22). Citando parzialmente quest’ordinanza di Mosè, omettendo l’uomo adultero, chiedono il giudizio di Gesù sul fatto. Pensavano di porre due alternative promettenti per il loro scopo malvagio: Infatti, consegnare la donna alla lapidazione significava arrogarsi una prerogativa riservata all’autorità romana, l’unica che poteva sentenziare a morte. Opporsi alla lapidazione significava sconfessare Mosè, cosa intollerabile per il popolo. In più, come anche oggi, l’adulterio, il tradimento, era considerato una delle colpe imperdonabili. Il tradito o la tradita subisce una ferita profonda nell’anima, tanto da desiderare, sul momento, di non esistere più o sorgere la furia della vendetta. La fiducia nel coniuge crolla e molte unioni coniugali per questo motivo vanno in frantumi a scapito dei figli, e di tutto quanto costruito prima. Non a caso fu un caso privilegiato da porre a Gesù.

Davanti a uno scenario così difficile, Gesù propone una via di giustizia: mettersi nei panni del colpevole. Se fossi io l’adultero, quale correzione desidererei? La condanna a morte? Oppure essere risollevato e aiutato? Le ferite del tradimento, o delle offese umanamente imperdonabili, vengono superate solo con grande affetto, umiltà e trasparenza dall’offensore, poi dall’esercizio della misericordia dall’offeso. C’è più da guadagnare con la riconciliazione che con la rottura. In questo caso deve vincere l’amore, non il dolore. Il Signore si è consegnato a noi proprio nel nostro tradimento. Egli stesso ci aiuti quando il dolore dell’offesa offusca la nostra mente. Buona domenica.

4a Domenica di Quaresima/C

Figli ribelli, padre buono

Lc 15,1-3.11-32

A cura di Don Eric Oswald Fanou

In questa domenica, chiamata della Gioia (Laetare), in risposta alla critica dei Farisei e degli Scribi sul fatto che accoglie e mangia con i peccatori, Gesù offre la parabola del Padre misericordioso, o del Figlio prodigo. In questa parabola, un padre ha due figli, uno che sembra bravo e l’altro ribelle, e verso entrambi il padre si mostra costantemente buono. Dio non è mai indifferente verso chi si allontana.
Si può affermare, senza timore di smentita, che uno dei testi più noti della Sacra Scrittura sulla misericordia divina è la parabola del Vangelo di questa domenica. Tra i personaggi del Vangelo, il lettore è portato a immedesimarsi soprattutto nella figura del figlio prodigo, specialmente nella parte in cui il padre gli va incontro. Desideriamo essere accolti e perdonati così.
Il figlio, detto prodigo, era animato da un desiderio di libertà. La tutela protettiva del padre era diventata un ostacolo a questo suo desiderio. Viveva con il padre, ma non più in comunione con lui. Voleva fare tutte le esperienze che gli si offrivano, e sente la necessità di affrancarsi dalla tutela e dalla protezione paterna. A questo desiderio, il padre non si oppone, anzi acconsente alla sua richiesta.
Dopo anni, le esperienze vissute lo hanno privato della dignità di cui godeva, e la gioia e l’entusiasmo di vivere senza regole sono svaniti. Inoltre, ha rotto i rapporti con il padre e con il fratello maggiore. La sua impresa di vivere da solo è sfociata in un fallimento totale. Vive, ma con le catene dei rimorsi e della vergogna, vergogna di non aver combinato nulla di buono. Non ha più niente e vive male. Ma questo figlio ha un merito: riconoscere i propri errori. Non dà la colpa del suo fallimento agli altri, non incolpa il padre per avergli concesso la libertà, e non si condanna per sempre. Anzi, nel suo momento più buio, crede nella bontà del padre e spera di essere accolto come un salariato. Con umiltà, decide di superare la vergogna e l’orgoglio che portano a nascondersi dietro le apparenze. Per tornare dal padre, il figlio minore deve superare lo sguardo malevolo della gente, e persino quello del proprio fratello. Proprio come fanno quei pubblicani e peccatori che si avvicinavano a Gesù. Il padre della parabola sorprende il figlio minore con la sua bontà.
Questa bontà del padre si rivolge anche al figlio maggiore. Lui, che non ha mai disobbedito al padre, si trova a disagio di fronte alla sua benevolenza verso il fratello. Non trova giusto che il fratello ribelle venga a condividere ciò che dovrebbe spettare a lui, proprio come quelli che criticavano Gesù per la sua vicinanza ai peccatori. In fondo, il figlio maggiore è una “brava persona”, ma non ama il padre gratuitamente. Altrimenti, avrebbe notato la sofferenza del padre e avrebbe capito l’importanza di fare festa per lui. Invece, anche lui si ribella. Si può vivere da brave persone nella Chiesa senza essere veramente credenti. Essere credenti cristiani significa condividere i sentimenti di Cristo che non è mai indifferente verso chi è perduto. Ci aiuti lo Spirito Santo a capire che il Signore non si dimentica mai di noi nei nostri guai di allontanamento.

30 marzo - 6 aprile 2025

“E cominciarono a parlare”

Esercizi spirituali parrocchiali

Come momento di preparazione alla Pasqua, proponiamo anche quest’anno la settimana di esercizi spirituali, curati dall’Azione Cattolica parrocchiale.

Leggeremo e mediteremo nelle pagine del libretto che trovate in allegato alcuni testi presi dai documenti della Nota Pastorale “Cominciarono a parlare” (At 2.4) del Cardinale Matteo Zuppi.

Nel libretto sono riportate le Lodi mattutine, i Vespri e Compieta che possiamo recitare come preghiera in comunità, in famiglia o personale per ogni giorno fino a sabato 5 Aprile; troviamo sul libretto anche le letture delle S.Messe.

Il testo della nota pastorale lo trovate a questo link


3a Domenica di Quaresima /C

Pazienza divina e precarietà umana

Lc 13,1-9

A cura di Don Eric Oswald Fanou

Nel Vangelo odierno, viene riferita a Gesù una triste notizia: il massacro di alcuni Galilei che offrivano sacrifici. Prendendo la parola, Gesù ribadisce l’urgenza della conversione. Poi ricorda un altro drammatico incidente. Infine, offre una parabola che si conclude con un’esortazione alla pazienza. Senza la consapevolezza della fugacità della nostra vita, si rischia di presumere abusivamente della pazienza di Dio.

La parabola del Vangelo ci porta in un contesto rurale. Un padrone ha piantato un albero di fichi, ma è rimasto deluso dal ritardo nella produzione dei frutti. Dopo tre anni di vana attesa, da buon contadino, decide di tagliare l’albero, che sfrutta la terra senza dare alcun frutto. Ma il vignaiolo gli chiede di avere ancora pazienza, promettendo di dedicare cure aggiuntive alla pianta.

Il contadino della parabola concede una seconda possibilità, una seconda chance a un albero. E Dio, bontà infinita, perché non dovrebbe concedere tempo e cura ai suoi figli per la loro conversione? Dio è paziente e spera nella nostra conversione. La conversione a cui ci invita il Vangelo, in particolare, è prendere seriamente coscienza della fugacità, della precarietà della nostra vita. La pazienza di Dio è illimitata quanto la sua immensità, ma l’uomo ne gode entro i limiti della propria natura. Dio è eterno, l’uomo sulla terra non lo è. Quindi, l’uomo non può godere della pazienza di Dio all’infinito, né decidere di gestire il tempo della grazia di Dio a suo piacimento. Anzi, molti fattori glielo impediscono.

Nel Vangelo possiamo evidenziare due casi che mostrano la precarietà della nostra natura. Il primo è il massacro dei Galilei che offrivano sacrifici. Non potevano immaginare che la loro vita sarebbe finita in quel modo. Nemmeno i loro sacrifici li hanno salvati dalla malvagità umana. Il secondo è il crollo della torre di Sìloe su 18 persone. Un incidente, diremmo. Anche morire di vecchiaia dimostra che la nostra vita è transitoria. Quindi, ogni minuto in più è per noi un tempo di grazia, un tempo di cura da parte del Signore. Che Egli ci salvi dalla presunzione abusiva della sua pazienza.

Buona domenica.

Don Eric Oswald FANOU

Oratorio della Natività di Maria e San Giuseppe

Festa di San Giuseppe

Apertura 23-24 marzo 2025

Iniziative presso l’Oratorio (Via della libertà 107 – San Giorgio di Piano)
in occasione della Festa di San Giuseppe

23 marzo 2025
Ore 10.00 Celebrazione della S.Messa
Apertura dell’Oratorio fino alle ore 12.00 con la tradizionale vendita di raviole

24 marzo 2025
Apertura dell’Oratorio dalle ore 10.00 alle ore 12.00 con la tradizionale vendita di raviole